Per mano dei Briganti – prima parte

[…] in campagna per mano dei briganti […].

Così è deceduto Pietro Giovanni Misciasci, o almeno è quello che è scritto nel “Verbale di riunione del consiglio di famiglia” redatto nel 1826 in occasione del matrimonio di Antonio Misciasci.

Quest’atto, secondo quanto era stabilito dal codice civile, era compilato quando il minorenne che aveva deciso di coniugarsi era contemporaneamente orfano di entrambi i genitori e privo dell’avo paterno.

Antonio Misciasci, nato a Bisignano il 15 settembre 1806 da Pietro Giovanni e Caterina Falcone, all’età di venti anni, volendosi sposare con Caterina Capalbo e trovandosi nella condizione appena descritta ottenne l’autorizzazione dal cosiddetto “consiglio di famiglia” che, in questo caso, era composto da:

  • Antonio Misciasci di anni trentacinque, fratello del padre di Antonio;
  • Andrea Covello di anni trentacinque, Zio di Antonio per lato paterno;
  • Michele Murano di anni venticinque, Zio di Antonio per lato paterno;
  • Giuseppe Falcone di anni quarantuno, fratello della madre di Antonio;
  • Giuseppe Falcone di anni quarantadue, Zio di Antonio per lato materno;
  • Francesco Russo di anni cinquantasei, Zio di Antonio per lato materno.

Tale “consiglio di famiglia”, oltre a prestare il suo consenso alla celebrazione del matrimonio, ha fatto risultare che

[…] è morto il padre del menzionato Antonio Misciasci minore, in campagna per mano dei briganti, senza essersene preso registro, per cui è impossibilitato a presentarne l’atto […] .

Al fine di determinare la data di morte di Pietro Giovanni, ho effettuato ricerche tese a individuare l’episodio di brigantaggio in cui potrebbe aver perso la vita e che, considerando i dati a disposizione, dovrebbe essere avvenuto nell’arco temporale che va dal mese di gennaio 1806 (Antonio è nato a settembre 1806) al 12 novembre 1826 (giorno in cui è stato sottoscritto il “verbale”).

Ritratto di Francesco I di Giuseppe Martorelli
Ritratto di Francesco I di Giuseppe Martorelli

Nel 1806, l’esercito napoleonico, con quarantamila uomini, invase per la seconda volta il Regno delle Due Sicilie.

Francesco I, figlio di Ferdinando IV, rimasto come luogotenente a Napoli, al fine di evitare inutili spargimenti di sangue si ritirò verso la Calabria, dove per la seconda volta, si stava organizzando la resistenza antinapoleonica ma, nonostante tutto, l’esercito napoleonico riuscì a occupare il territorio calabrese.

Molti soldati duosiciliani fecero ritorno alle proprie case, altri, agli ordini degli ufficiali dell’esercito, si dispersero su tutto il territorio sviluppando un’efficace resistenza armata sempre appoggiata dalla popolazione e restando in attesa di un contrattacco.

Si formarono così delle bande armate determinate a cacciare dalla propria terra natia l’invasore straniero.

Gli appartenenti a queste bande oggi sarebbero stati chiamati partigiani, mentre allora  i militari francesi, nei loro diari, li appellarono come “ladri”, “assassini” e “briganti“.

“Partigiani” o “patrioti”, invece, erano chiamati quei “calabresi” che sostenevano le ventate di novità trasportate dell’invasore esercito francese.

Anche il Clero osteggiò l’invasione, incoraggiandone l’opposizione e alimentando nella popolazione l’antico pregiudizio secondo il quale i francesi erano contro Dio, la religione e la famiglia.

In quel periodo, che val dal 1806 fino alla Congresso di Vienna del 1815, furono registrati, spesso, atti di violenza nei confronti di donne, di bambini, di gruppi di cittadini o d’interi paesi messi a ferro e fuoco.

A Bisignano, seppur in mano ai francesi, questi “briganti” potevano contare su amici e alleati che li rifornivano di viveri e armi.

Ad Acri il governo del Comune era composto dal Sindaco Saverio Cofone e dai due eletti Antonio Capalbo e Francesco Sammarro, i quali, il 14 agosto 1806, avendo saputo che i francesi avevano occupato Cosenza, procedettero all’arresto di persone sospettate di essere filo-borbonici e fra queste vi era l’amante del “brigante” Giacomo Pisano di Pedace, detto Francatrippa.

Giacomo Pisano detto Francatrippa
Giacomo Pisano
detto Francatrippa

Intorno ad Acri erano accampate la banda di Francatrippa e quella di Antonio Santoro di Longobucco, che si faceva chiamare Re Coremme vantandosi di avere corrispondenza con la regina, nonché di essere stato nominato tenente colonnello dalla corte borbonica.

Alle sette di mattina del 15 agosto 1806 entrarono in Acri sparando colpi di fucile passando per le armi coloro che erano sospettati di essere filo-francesi, fra i quali lo stesso Sindaco Saverio Cofone.

I corpi dei fucilati venivano ammassati in piazza e dati alle fiamme.

Un tal Jaccapitta (o Spaccapitta), della banda di Francatrippa, mentre i cadaveri bruciavano, intingeva il pane (o meglio la pitta) nel grasso e se la mangiava.

Re Coremme, con la sua banda, il 18 agosto assalì Santa Sofia, ma trovandola abbandonata, la saccheggiò e appiccò il fuoco alle abitazioni dei filo-napoleonici.

Il 21 agosto, quindi, le due bande, quella di Francatrippa e quella di Re Coremme, si recarono a Bisignano ma giunti a San Domenico furono respinti dalla popolazione e dalla guarnigione francese.

Nel libro “Bisignano, arte storia folklore”, scritto da Gaetano Gallo, si racconta di un episodio di brigantaggio avvenuto a Bisignano, documentato dal libro parrocchiale della Chiesa di San Bartolomeo, che lo scrittore ha riportato come segue:

Chiesa San Bartolomeo
Chiesa San Bartolomeo a Bisignano

Memoria – Bisignano lì 21 agosto 1806, ad ore 21, giorno di giovedì.

Si certifica e fa fede con giuramento <<tacto pectore, more sacerdoti>> da me sottoscritto Umile Berlingeri, Parroco della Parrocchia Chiesa di San Bartolomeo Apostolo di questo sopradetto Comune qualmente oggi sopradetto anno e giorno ad ore 17 scesero da vicino Comune di Acri, da circa due mila briganti guidati dal capo Giacomo Pisano Francatrippa e tre dei suoi seguaci, cioè Gaetano Zanfini, il figlio Timpiricchio ed il figlio Dario, con violenza scassarono la porta suddetta parrocchia e si pigliarono i sottoscritti utensili: il calice e la patena con piede d’ottone. Due tovagliette di orletta fina con pizzilli ch’erano sopra l’altare. Due pianete usate, cioè una rossa e l’altra di colore. Il suggello della Parrocchia che era dentro lo stipo dell’oglio santo. Il secchietto per l’acqua santa di stagno del peso di libre 5. Il camice di orletta fina con pizzillo fatto da me nell’anno 1801.

Il tutto si puole osservare dall’istanza che ne feci al Sig. D. Vincenzo Lopez, Regio Giudice di questo Circondario che n’esaminò, D. Innocenza de Rose ed Angela Berlingieri che abitavano avanti la suddetta Chiesa; e Santa Veltri e Cecilia Panza che videro le tre suddette persone per dentro il quartiere della Giudecca con i sopra descritti utensili nelle mani. Ne ricorsi, come fecero gli altri a S. Maestà il Re Gioacchino Napoleone per qualche compenso e niente potei ottenere. E per discarico di mia coscienza ne ho formato la presente fede. Bisignano lì 21 agosto 1806. Umile parroco Berlingieri.

Essendo questo l’unico episodio di brigantaggio avvenuto in quel periodo a Bisignano, mettendolo in relazione con i documenti di cui sopra si potrebbe concludere che Pietro Giovanni Misciasci è stato ucciso “per mano dei briganti” proprio il 21 agosto 1806, in occasione del tumulto sopra descritto.

Ma …


estratto dall’albero genealogico

Pietro Giovanni Misciasci > Pietro Antonio Francesco Misciasci > Francesca Misciasci > Annunciata Guido > Francesco Alessandro Prezioso > Rosa Prezioso > mio padre > io.


Le notizie riportate in questo trafiletto, oltre ai documenti in esso citati,
sono tratte dall’articolo "la resistenza calabrese all'occupazione francese" 
di Domenico Iannantuoni e da "la montagna sotto la neve" di Domenico 
Antonio Cassiano.


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